AUTISMO E CORONAVIRUS. Una riflessione psicoanalitica.

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L’avanzare del coronavirus ha trasformato le nostre vite nel giro di poco. Tutto fa buco, nulla tiene. Perfino i due grandi modi di rispondere alle questioni della vita vacillano più che mai. La Scienza che mette in atto strategia di contenimento e non di “cura” e la Religione che ci offre le immagini di un Papa fragile e solo, inteneriscono lo spettatore riuscendo a limitarne l’angoscia solo in parte.

Anche un reale così forte e trasversale come quello del COVID-19, è letto ed interpretato dal fantasma di ciascuno. Tuttavia, un fil rouge nell’appello delle famiglie con soggetti autistici c’è: non lasciateci soli. È bastato un soffio, un virus per far sì che tante (ma non tutte) equipe si  dissolvessero nel vento, interrompendo bruscamente lavori in corso.

L’effetto della quarantena è singolare su ciascuno, autistici compresi, tanti Asperger ne stanno giovando: distanza sociale e tecnologia, un mondo basato sulle loro autoregolazioni ed invenzioni, sembra un sogno per alcuni! Altri funzionamenti, invece, ne soffrono. Quelle routine che facevano la significazione sono svanite ed allora, in alcuni casi, l’aggressività impenna. Quei segnali stradali che il lavoro aveva permesso di mettere sulle strade di bambini e ragazzi autistici, sono improvvisamente stati cancellati. In alcuni di loro lo smarrimento è tanto. Ed alla  confusione ciascuno risponde come può.

Cosa fare? Come riuscire a conciliare etica, autismo e coronavirus e contemporaneamente lavorare la propria angoscia di fronte ad un reale così d’impatto e che ci coglie così impreparati?

Dunque, continuare ad essere partner dell’autistico al tempo del coronavirus. Bella sfida!

È stato molto difficile ri-organizzare le attività che svolgevo con questi bambini e ragazzi, sia in setting individuale che di gruppo, stravolgendone il medium: non più corpo, voce, sguardo-modulati ma presenti, sempre vivi- bensì uno schermo.  Questa vertigine creativa, mi ha condotto ad utilizzare Skype, per l’appunto, sia nei setting individuali che in quelli gruppali  mantenendo, o forse azzardando, alcuni atelier. L’effetto è stato sorprendente.

Non più un posto, l’Associazione OISMA che presiedo, ma sempre un luogo con lo stesso funzionamento  simbolico che tiene il soggetto al riparo dal capriccio dell’Altro[1] tramite un monitor. L’effetto pacificante del simbolico riesce nonostante la distanza, nonostante il monitor, anzi le proposte di aggancio giungono all’altro di per sé depotenziate, meno intrusive, non hanno bisogno di essere regolate con così tanta precisione come dal vivo in cui bisogna sempre bilanciare fermezza con dolcezza.

Il soggetto autistico sa di essere ascoltato, visto, ma a distanza e trovo che ricerchi lo sguardo e la voce del terapeuta con maggiore curiosità. Per dirla in termini pulsionali alla luce dell’insegnamento di Lacan[2], il soggetto autistico si offre con maggiore facilità tramite lo schermo, si fa oggetto dello sguardo digitale, via monitor. Non lo disturba, poi, così tanto.

Donald Meltzer, appartenente alla scuola kleiniana, ha posto l’accento sulle sensazioni e sulla corporeità propria e peculiare dei bambini autistici. Meltzer sottolinea l’assenza di contenimento in questi bambini, che si traduce nella scomposizione dell’oggetto, così che una sola delle componenti dell’oggetto viene a catturare una sola di quelle dimensioni della sensorialità smantellata del bambino[3]. L’utilizzo del monitor semplifica questo processo di scomposizione, lo sorregge permettendo un aggancio semplificato tra soggetto e terapeuta digitalizzato.

L’utilizzo di piattaforme digitali, poi, ha anche promosso una nuova posizione con i genitori, coinvolti in prima linea nelle terapie (soprattutto per i più piccoli e/o i più severi), non più alleggeriti ma investiti del compito di essere le braccia del terapeuta, di toccare dal vivo la grammatica del corpo dei loro figli con un traduttore in simultanea, il terapeuta per l’appunto, al loro fianco. In effetti l’utilizzo di Skype ha solo reso più frequente e regolare questa sorta di alleanza genitore-terapeuta, che soprattutto in alcune fasi dei trattamenti utilizzo, con i soggetti autistici.

Tuttavia questo funzionamento così apparentemente liscio, sembra essere quasi lo specchio d’acqua in cui si riflette Narciso, con le conseguenze che tutti noi conosciamo.

Non nasconderà forse delle insidie?

Il corpo, nel trattamento dell’autismo, è parte fondamentale del percorso. Già negli interventi precocissimi, mi riferisco ai bebè che mostrano i campanelli di allarme che potrebbero portare a strutturare un autismo, si sta sempre più diffondendo un lavoro integrato che prevede l’intervento, oltre che del terapeuta, anche dell’osteopata e dello psicomotricista. Quello che ho ottenuto con l’utilizzo del (mio) corpo, di certo non lo riuscirò a produrre con una piattaforma digitale.

In questo momento non posso essere quel partner del soggetto autistico di cui solitamente mi faccio sembiante, perlomeno non posso esserlo nel modo in cui eravamo abituati a farlo. Con nessuno di loro facciamo aperitivi, lavori in strada, non ci sono giochi, spallate, sguardi, odori. Una parte di quel reale che è tanto intraducibile, è lontano, è schermato. Un ragazzo Asperger con cui lavoro da lungo tempo, mi ha detto durante il nostro ultimo incontro Skype che  “finalmente è il mio mondo. Hai visto? Tutti i miei anni di esercitazione sono serviti”, ha asserito ridendo e riferendosi delle sue difficoltà sociali.

Credo che gli strumenti digitali siano di per sé limitanti nella produzione di effetti ed affetti, ma ci permettono di divenire un sembiante del possibile, del rilancio, di fronte ad un reale mortifero come quello che stiamo vivendo. La scommessa della psicoanalisi, lungi dall’essere un ortopedica che mira ad un Ideale, è quella del condurre l’analizzante al saperci fare con le cose della vita, e questa contingenza ce lo richiede in maniera netta. Potremo anche aver fatto la passe con successo, ma siamo sempre analizzanti della Vita.

Ma allora nell’epoca post COVID cosa ci porteremo di questa quarantena così digitale?

Ne usciremo tutti ovviamente cambiati, non sta a me  dire se in meglio o in peggio, ma non perché in grado di “imparare la lezione” ma semplicemente perché in quanto esseri umani siamo biologicamente determinati per essere indeterminati[4] e quindi soggetti ad un cambiamento continuo. Ed anche l’autismo muta così come i modi di approcciarlo da parte di chi si rifà alla psicoanalisi. Mi sembra particolarmente calzante la seguente citazione di Laurent: “bisogna potersi autorizzare quando, secondo l’intuizione, tutto sembrerebbe andare contro”[5], ecco la parentesi digitale è l’autorizzazione a continuare ad essere fedeli al proprio desiderio, nonostante tutto.

Per chiunque volesse approfondire la questione autismo, può cliccare qui oppure qui. Verrà indirizzato a due siti che si occupano esclusivamente della neurodiversità.

[1] Egge M., La cura del bambino autistico, 2006, Astrolabio, Milano.

[2] J. Lacan, I quattro concetti fondamentali della psicanalisi (1964), Einaudi, Torino, 2003.

[3] Meltzer D., Bremner J., Hoxter S., Weddel D., Wittenber I., (1975), Explorations in Autism, Clennié, Perth, trad. it. Esplorazioni sull’autismo: studio psicoanalitico, Boringhieri, Torino, 1977

[4] Ansermet F., Magistretti P., A ciascuno il suo cervello, Plasticità neurale ed inconscio, 2008, Bollati Boringhieri, Milano.

[5] E Lauremt, “Plusieurs”, Preliminaire, n. 9/10, in “La pratique a’ plusieurs” Bruxelles 1998, pp 4.

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